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Il divulgatore scientifico

Autore: Massimo Kofler (Felice Pursenza Editore)

Il tentativo di "capire" scaturisce anche dalla fiducia che questo impegno possa accrescere la propria utilità e conferire un senso più ampio all'esistenza.

Molto poco (o forse nulla) di ciò che si comprende e condivide è privo di sbavature concettuali: salvo scoperte fortuite, la storia del "progresso" si fonda su umiltà, passione, lungimiranza, perseveranza, cautela e altro ancora...

La divulgazione scientifica promuove l'immagine d'una letteratura di livello sufficientemente consolidato e comunque tale da poter essere diffusa su vasta scala, nonostante ogni "certezza" vada interpretata in un contesto temporalmente non illimitato.

Quando e laddove queste premesse siano verificate, diviene ragionevole "pubblicizzare la scienza", tramite competenti mediatori/trici nella veste di avvisatori volonterosamente eruditi e informati.

In questo ambiente prosperano figure che si autodefiniscono divulgatori scientifici, senza che l'ostentazione del “titolo” (accompagnata da curriculum, biografie e pubblicazioni) sia giudiziosamente cauta, pacata e argomentata.

Se queste auto-proclamazioni risultano essere eccessivamente belligeranti, finiscono col favorire una divulgazione che fa pensare agli squilli di tromba e alle risse di “standard social-network”. Questo genere di cultura raramente si rivela opportuna, ragionevolmente utile e aperta al dialogo. Semmai la ricerca scientifica, quando avanza, lo fa in penombra, tramite congetture e confutazioni successive. La tifoseria scientifica è sostanzialmente da evitare perché crea baratri tra “i sapienti” e gli "altri" (definiti dai primi: “i soliti sabotatori, stupidi e ignoranti”).

Così scriveva Karl Popper: "Ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l'unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere".

I divulgatori scientifici possono dunque ricoprire un ruolo importante (talora molto importante) ma, nel momento in cui si definiscono tali, la loro credibilità può sbandare non di poco se si indirizza anche, o prevalentemente, verso la "diffusione di loro stessi". Non è opportuno che, in modo sistematico, gli espositori diventino orgogliosamente più rilevanti della merce da esporre.

"Divulgare" (in primis la scienza, ma il concetto è espandibile ad altri campi) è un atto di responsabilità, non uno spot pubblicitario: le auto-sponsorizzazioni non rappresentano la diritta via. Semmai, la via smarrita. Quanto esposto intende sottolineare l'importanza della sobrietà comunicativa, salvo, forse, rarissime eccezioni.

Il "probabile" rappresenta l'essenza della cautela scientifica, benché dotato del solido charme della forza sperimentale e/o delle verifiche inferenziali. Lo scrittore di articoli, di libri, ecc. a scopo comunicativo non è un genuino divulgatore scientifico se "dall'altare" si autocelebra tale, magari con significativi vantaggi economici, diretti ed evidenti o (persino malamente) mimetizzati.

Il carisma della "conoscenza aggiornata" si esprime con umile cautela e sussurra piano anche quando poggia sulla dedizione al lavoro associata a sobria e lucida responsabilità. La qualità metodologica deve verificare correttamente la ragion d'essere dell'immancabile (talora persino inconscia) componente ideologica (peraltro, ancor oggi, non di rado sessista).

In breve, i divulgatori scientifici non possono e non devono sottovalutare i rischi di diventare, loro stessi, divulgatori di maleducazione, innescata dalla presunzione di robusta e generalizzata superiorità intellettuale e conoscitiva.

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